Un enorme spettacolo di luci. Una galassia di luminarie che disegna al buio la trama dei paesi del Vallo di Diano, spiegati lungo la pianura come tante piccole, singolari costellazioni. Nato come Marcellanium, insediamento romano legato al municipio di Cosilinum, il paese si spostò in cima a un monte dell’Appennino della Maddalena per sfuggire alle spavalde scorrerie dei Saraceni che si spingevano dalle coste verso l’interno attratti dalla fiorente agricoltura e dal ricco commercio. Montesano voleva dire salvezza dai predoni e salubrità, fuori dai pantani che occupavano buona parte del vallo, coriacea eredità di un lago preistorico.
Il riferimento “sulla Marcellana”, poi aggiunto, si ricollega con tutta probabilità all’originario insediamento romano. Il toponimo compare per la prima volta in una pergamena del 1086, un atto di donazione da parte del conte Ugo D’Avena in favore dell’abate di Cava Pietro Pappacarbone, riguardante tre monasteri tra cui quello di san Simeone sito presso il “castello di Montesano”. Il “territorio di Montissano” è citato in un altro documento del 1131 e fu feudo assai ambito per la mitezza del clima e la fertilità del suolo. Lo ressero in successione Annibaldo di Trasmondo di Roma, Arnolfo Pelagalli, Nicola de Molinis e una sfilza di potenti signori finché, nel 1580, l’università dei cittadini (una sorta di comune ante litteram) si consacrò al regio demanio sborsando 30.000 ducati. A poco servì lo sforzo, dato che neanche 40 anni dopo la Regia Camera spagnola rivendette il sito all’asta ad Agostino Ambrosino. Altra ridda di proprietari e infine, nel 1636, il feudo con le sue pertinenze fu acquistato dalla Certosa di Padula.
Nella girandola di signori, messo alla prova dalla peste del 1349, da periodiche carestie e terremoti, Montesano si ridusse a uno sparuto borgo di nemmeno 200 anime. Nel Settecento, un vero e proprio “rinascimento” economico portò a un netto sviluppo demografico e a una notevole crescita del tessuto urbano. La Repubblica Napoletana svegliò pulsioni democratiche subito soffocate dai monarchici e poi, a inizio ’800, premiate con la promozione del centro a libero comune. Il 21 ottobre del 1860, nel giorno del plebiscito per l’annessione al Regno di Sardegna, rigurgiti filo-borbonici richiesero l’intervento dei reparti della Guardia Nazionale di stanza nei paesi vicini. Tre anni prima un terremoto devastante aveva cambiato il volto del borgo, abbattendo il castello e le chiese parrocchiali.
Oggi il comune più orientale della Campania, rinato da quelle macerie, conta quasi 7000 abitanti e si compone, oltre al capoluogo, di 5 frazioni. L’architettura prevalente è quella religiosa: l’abbazia di santa Maria di Cadossa, risalente al X secolo, la grancia basiliana di san Pietro, la chiesa di sant’Andrea rasa al suolo dal sisma del 1857 e ricostruita nel 1931, la chiesa di sant’Anna, in stile neogotico, eretta tra il 1954 e il 1959 per volontà del magnate Filippo Gagliardi. Quanto all’economia, Montesano vive di agricoltura, artigianato e allevamento, finalizzato alla produzione di salumi e latticini. Nel 2001, su iniziativa di alcuni volenterosi cittadini e col patrocinio del comune, è stato allestito un Museo Civico che raccoglie testimonianze “materiali e immateriali” della civiltà e della cultura locale.
(La Città)